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bambino con cellulare

DIGITALI MA NON TROPPO

RACCOMANDAZIONI PER L’USO DEL CELLULARE DA PARTE DEI BAMBINI

La Società Italiana di Pediatria ha stilato delle raccomandazioni sull’uso dei telefonini da parte dei bambini che avviene sempre più precocemente e con modalità/tempi di esposizione errati.

In Italia 8 bambini su 10 tra i 3 e i 5 anni sanno usare il cellulare dei genitori, e il 30% dei genitori usa lo smartphone per distrarli o calmarli già durante il primo anno di vita, il 70% al secondo anno.

Frequentemente questa esposizione precoce, come anche quella che avviene in età successive, non si accompagna alla condivisione di immagini e contenuti da parte del genitore: il bambino è di fatto “lasciato solo” di fronte allo schermo, interrompendo il rapporto con il mondo esterno. Quando lo smart phone viene utilizzato per calmare il bambino in caso di pianto, si delega allo schermo la funzione di risolvere il problema senza comprenderne le cause.

Alimentazione

Durante l’allattamento è fondamentale il contatto oculare tra genitore e bambino che rafforza la relazione tra i due ed aiuta l’adulto a comprendere quei bisogni che si possono manifestare anche con lievi sfumature del comportamento del lattante. Da qui la raccomandazione ai genitori di non lasciarsi “distrarre” dall’uso del telefonino mentre si nutre il piccolo.                                                 

Quando il bambino passa alle “pappe” il cibo deve rappresentare una esperienza di crescita da fare con tutti i sensi: toccarlo, vederne i colori, annusarne il profumo, assaporarne il gusto con consapevolezza. Gran parte di queste sensazioni vengono perse se il bimbo si concentra sulle immagini.

A spasso con mamma e papà                                                                                                    

A volte capita di vedere bambini sul passeggino che tengono in mano un cellulare, concentrandosi sulle immagini e non sul mondo circostante. L’uscita deve rappresentare invece una scoperta del nuovo, condivisa attraverso osservazioni ed informazioni da parte del genitore. Questo scambio di informazioni rafforza il legame del bambino con l’adulto e stimola  la  mente del piccolo alla curiosità, al ragionamento ed all’affettività.

L’influenza sul sonno.                                                                                                 

L’esposizione ad immagini, soprattutto se avvincenti (cartoni animati per le prime età, storie di azione con rapida successione di scene successivamente) possono interferire con la qualità del sonno. Uno studio recente ha evidenziato che i bambini tra 1 e 4 anni che hanno la televisione in camera tendono ad avere un sonno più disturbato ed una aumentata prevalenza di paura del buio.

La lettura        

Esistono molte evidenze che leggere un libro al bambino sin da piccolo lo aiuta nella relazione con il genitore e nella più precoce comprensione dei testi in età scolare; inoltre in questo modo il bambino tenderà a diventare a sua volta un buon lettore da grande. L’utilizzo di un libro illustrato, dove ci si può fermare quanto si desidera su un’immagine, permette al bambino di concentrarsi sui colori e sui dettagli, ed ai genitori di dare eventuali informazioni aggiuntive, se richieste.

Tutto ciò non accade nel caso dell’utilizzo di un cellulare, o altro apparecchio, su cui le immagini scorrono velocemente e vengono pertanto vissute passivamente. Il libro, inoltre, generalmente espone le storie con un linguaggio più accurato aiutando il bambino ad ampliare il suo vocabolario sin da piccolo.

Sviluppo cognitivo e comportamentale                                                                                                         

Lo sviluppo neurologico del bambino ha bisogno di un’esperienza diretta e concreta con gli oggetti in modo da affinare il suo pensiero e la capacità di risolvere i problemi. Il telefonino da parte di bambini di età inferiore ai 3 anni può contribuire a questo sviluppo solo se è presente un genitore che aggiunge altre informazioni durante lo svolgimento delle varie sequenze.

Anche nelle età successive si è visto che passare molto tempo davanti allo schermo è correlato a scarso profitto in matematica, a bassi livelli di attenzione e anche a minori relazioni sociali con i coetanei.

Salute                                                                                                                                            

Anche qui le evidenze scientifiche evidenziano alcuni dati allarmanti:                                                                      

-l’utilizzo da parte dei bambini di strumenti elettronici per più di 2 ore al giorno favorisce l’aumento del peso corporeo favorendo la sedentarietà                                                                    

– sono anche più frequenti i problemi comportamentali perché viene a mancare il confronto con i coetanei che di fatto insegna al bambino ad interagire con gli altri                                                   

– un uso prolungato dei tablet obbliga ad una postura inappropriata che predispone il bambino a cefalea e dolore muscolare (soprattutto a collo e spalle)                                                                       

– fissare la vista a lungo su uno schermo predispone alla miopia ed alla secchezza oculare che si manifesta con la sensazione di corpo estraneo nell’occhio                                                                

– anche per quanto riguarda l’udito l’esposizione continuativa al rumore (spesso di elevata intensità) può essere dannosa interferendo con lo sviluppo del linguaggio

Per concludere

Il telefonino non deve essere utilizzato troppo precocemente e, soprattutto, non deve sostituire la corretta interazione tra genitore e bambino.

Bisogna rispettare delle regole di buon senso relative a tempi e modalità di esposizione che, solo se corretti e, soprattutto, condivisi con l’adulto, possono rappresentare un arricchimento per uno sviluppo armonioso.

Dermatite atopica: qualche consiglio

La dermatite atopica è una patologia infiammatoria della pelle che, nelle forme gravi, compromette in modo importante il benessere del bambino e la serenità dei genitori.

E’ una patologia che colpisce il 15-20% dei bambini ed esordisce generalmente tra i 2 e i 6 mesi.

Si manifesta con lesioni di vario aspetto a seconda dell’età del bambino e della gravità della patologia.

Nel bambino più piccolo (lattante) prevale l’interessamento del volto, con risparmio della zona centrale; in questa età la dermatite atopica può essere confusa con la dermatite seborroica o altre forme irritative transitorie. Nel bambino più grande, invece, prevale l’interessamento delle pieghe di gomiti e ginocchia, il collo, i polsi, la regione attorno alla bocca.

Come già detto l’aspetto delle lesioni varia a seconda della gravità, con progressione dall’arrossamento alla comparsa di vescicole con essudato sieroso; frequente è la comparsa di infezione, soprattutto da stafilococco. Nelle forme di vecchia data la pelle, nelle aree interessate, appare ispessita e ruvida al tatto (lichenificazione).

La secchezza cutanea è proprio alla base della patologia ed è legata ad una alterazione dei meccanismi di barriera della pelle che causano uno stato infiammatorio cronico associato a prurito intenso.

Per questo motivo, accanto alla terapia medica, è importante seguire alcuni accorgimenti per ammorbidire la pelle e ridurre il prurito.

Vestiario

E’ consigliato l’uso di fibre naturali quali cotone e seta, mentre sono da evitare la lana ed i tessuti sintetici. A volte anche alcuni colori dei capi indossati possono rilasciare sostanze irritanti, nel dubbio preferire indumenti bianchi. Il lavaggio del vestiario va fatto con detersivi neutri seguiti da un abbondante risciacquo.

Igiene del sonno

Il prurito è avvertito soprattutto durante le ore notturne e si accentua se il bambino è troppo coperto: ne deriva una esasperazione del grattamento durante il sonno che può apparire notevolmente disturbato. Queste sono anche le ore meno controllabili dalla presenza attiva dei genitori che spesso vengono svegliati dal pianto o dalla agitazione del piccolo quando il danno cutaneo legato al grattamento si è già manifestato. E’ utile quindi mantenere la stanza fresca ed areata, e, nei bambini più piccoli, si possono usare degli appositi guantini in cotone.

Cura della pelle

La secchezza cutanea va combattuta con la frequente applicazione di creme emollienti prive di conservanti e profumi. Ne esistono molte in commercio create appositamente per la dermatite atopica. Queste creme vanno applicate anche più volte al giorno, secondo necessità, e comunque sempre dopo il bagnetto che deve essere effettuato anche quotidianamente, utilizzando acqua tiepida. I detergenti utilizzati per il bagno, che possono essere sia cremosi che oleosi, devono avere le stesse caratteristiche delle creme, privi cioè di sostanze irritanti. Utile anche controllare che le unghie siano sempre corte per limitare il danno da grattamento.

Alimentazione

La dermatite atopica non è sinonimo di allergia alimentare. E’ inutile, oltre che dannoso dal punto di vista nutrizionale, eliminare quei cibi che apparentemente hanno scatenato una nuova riaccensione delle lesioni cutanee, tenendo presente che le “riaccensioni” fanno parte della storia naturale di questa patologia.

E se il bambino è anche allergico?

Può capitare che il bambino abbia anche una allergia alla polvere o ai pollini. In questo caso il contatto con questi allergeni può agire come fattore scatenante per una riacutizzazione della dermatite atopica ed andranno quindi messi in atto tutti quegli accorgimenti per ridurre l’esposizione a questi allergeni.

Covid e bambini: cosa è cambiato

La variante Omicron del Covid 19, ampiamente diffusa anche nel nostro Paese, sta cambiando la percezione di una infezione rara e generalmente asintomatica nei bambini.

Nelle prime ondate della pandemia il ricovero riguardava soprattutto bambini più piccoli (anche per necessità di semplice sorveglianza in una fascia di età particolarmente fragile) e, in 7 casi su 10, soggetti pediatrici ad alto rischio in quanto affetti da altre patologie gravi.

Secondo dati dell’Istituto Superiore di Sanità dall’inizio dell’epidemia alle ore 12 del 5 gennaio 2022, nella popolazione 0-19 anni sono stati riportati 1.182.094 casi confermati di infezione con 36 decessi.

Dal 2 al 9 gennaio, inoltre, sono stati identificati in Italia oltre 64 mila nuovi casi nei bambini di età compresa tra 6 e 11 anni con 113 ospedalizzazioni. Il 76% dei bambini ricoverati non è vaccinato, e circa il 70% dei piccoli in terapia intensiva ha genitori non immunizzati

Le cause dell’aumento di incidenza

Sicuramente alla base dell’aumento delle infezioni, e quindi anche dei ricoveri dei bambini, c’è una marcata maggiore trasmissibilità del virus che, con la comparsa delle nuove varianti, si è diffuso nelle popolazioni, e quindi anche in Italia, proprio con le varianti più contagiose.

A dicembre 2021 l’Istituto Superiore di Sanità rilevava che la variante più diffusa in Italia era quella Delta caratterizzata da una trasmissibilità dal 40 al 60% più elevata rispetto alla variante Alfa, ma circa un 30% dei casi risultava essere presente la variante Omicron che appare 4-5 volte più trasmissibile della variante Delta e che presenta un tempo di incubazione ridotto a 3 giorni rispetto ai 4-6 della Delta. Attualmente si ritiene che la Omicron rappresenti in Italia la causa di infezione nel 50-60% dei casi.

Altro fattore importante è rappresentato dalla maggiore frequenza scolastica in presenza che, necessario sotto molti aspetti (sociale, educativo, psicologico, eccetera) espone bambini e ragazzi ad un rischio maggiore di contagio.

Anche la maggior diffusione dell’infezione negli adulti espone sempre più frequentemente i bambini alla coabitazione con un genitore infetto con elevata contaminazione virale della casa.

Da dati scientifici preliminari sembra che la variante Omicron si moltiplichi di più nelle vie aree superiori (naso, faringe), cosa che la renderebbe più trasmissibile ma meno pericolosa, in quanto attaccherebbe con minore facilità i polmoni rispetto alle altre varianti di SARS-CoV-2.

Fattori di protezione dei bambini

I bambini sono naturalmente più resistenti, rispetto all’adulto, a forme gravi di molte infezioni virali, come accade nel caso della mononucleosi o della varicella, e così è avvenuto anche per l’infezione da Covid 19.

I motivi di questa minore gravità sono molteplici. Per cominciare i bambini incontrano per la prima volta numerosi altri Coronavirus che sono, per esempio, responsabili del comune raffreddore. Sviluppano quindi una immunità molto vivace nei confronti di virus analoghi e questa li protegge anche dalla variante che causa il Covid.

Anche l’esposizione ad altri tipi di virus stimola la loro immunità in senso generico, permettendo, per esempio, di produrre elevate quantità di interferone che è una sostanza capace di bloccare la replicazione dei virus in generale.

Infine il bambino è sottoposto a numerose vaccinazioni che, oltre ad agire nei confronti di quelle specifiche malattie (morbillo, rosolia, varicella, eccetera), lo rendono più resistente nei confronti di altre infezioni.

Infine nelle vie respiratorie del bambino si trovano molti meno recettori per il virus del Covid (detti ACE2) che vi penetra quindi con maggiore difficoltà.

Complicanze: la MIS-C

Con questa sigla viene indicata la Sindrome Infiammatoria Multi Sistemica, una complicanza rara ma grave e potenzialmente mortale dell’infezione nel bambino. Può presentarsi nel corso dell’infezione o anche a distanza di tempo (generalmente entro 4 settimane) con febbre elevata ed un coinvolgimento di vari organi ed apparati compresi cuore, reni e cervello. Il 70% di questi bambini può necessitare di un ricovero in terapia intensiva, più spesso per complicanze cardiache come miocardite e pericardite.

Al momento non è chiaro se l’incidenza di questa complicanza sarà la stessa con la variante Omicron rispetto alla Delta, né se la vaccinazione sarà in grado di ridurla. Un dato confortante è che negli USA prima dell’avvento della variante Omicron la vaccinazione era in grado di ridurre la MIS-C del 90%.

Il Long Covid nei bambini

Altro aspetto negativo emerso con il tempo è che l’infezione da Covid 19 può causare anche nel bambino una condizione caratterizzata da disturbi di lunga durata identificata dapprima nell’adulto.

A distanza di qualche settimana dall’infezione possono comparire stanchezza, mancanza di concentrazione o di interesse per le cose che prima venivano apprezzate, a volte con dolori diffusi e difficoltà respiratoria.

Si ritiene che gran parte di questa sintomatologia sia legata ad un danno neurologico che si può realizzare attraverso numerose vie. Raramente il virus causa una infezione diretta come l’encefalite, o un danneggiamento del tessuto cerebrale ad opera di coaguli che determinano la comparsa di piccole aree infartuate. Più spesso, però, si ritiene che lo stato infiammatorio generale si estenda anche ai tessuti nervosi, danneggiandoli.

Non è la prima volta che si riscontrano sintomi neurologici causati da infezioni virali, era già accaduto con la SARS, il virus Ebola o anche con ceppi di influenza particolarmente aggressivi come quello che causò la pandemia della Spagnola.

Per questa complicanza, come per altri aspetti di questa infezione prima sconosciuta, non ci sono attualmente dati che ci possano dire se si tratta di condizioni transitorie o se dovremo aspettare del tempo affinché, con una stretta sorveglianza, si identifichino sempre di più la caratteristiche della malattia.

Enuresi notturna: quando il bambino bagna il letto

Il bambino impara gradualmente a controllare l’emissione di feci ed urina, prima durante il giorno e poi nelle ore notturne. E’ un processo di maturazione graduale che varia da un soggetto all’altro con una forte componente familiare.

 Se il controllo della minzione non avviene all’età di 5 anni si parla di enuresi primaria, condizione che va differenziata dalla ricomparsa di “notti bagnate” dopo un certo periodo in cui il controllo era stato acquisito.

Infatti, mentre in quest’ultimo caso è possibile pensare a cause psicologiche (nascita di un fratellino, disagio scolastico, ecc), l’enuresi primaria non è causata da disturbi emotivi, che, anzi, possono comparire proprio a causa di questa situazione, soprattutto quando il bambino viene rimproverato o punito per aver bagnato il letto.

In epoche passate, prima che si comprendessero i meccanismi che determinano l’enuresi, era frequente che lo stesso pediatra desse consigli sbagliati, tipo far vergognare il bambino in modo che si impegnasse di più nel controllo, oppure svegliarlo una o più volte durante la notte per accompagnarlo al bagno.

Le cause dell’enuresi notturna

Il controllo della minzione notturna è legato alla maturazione di alcune aree del cervello (lobi frontali e parietali) che permette di avvertire la sensazione data da una vescica piena. Nei bambini enuretici si verifica un ritardo in tale maturazione.

Questi bambini presentano inoltre una maggiore difficoltà al risveglio in seguito a stimoli di vario genere.          

Come già detto una familiarità positiva (presenza dello stesso disturbo in almeno 1 genitore) si ritrova nel 90% dei casi.

Aspettare o intervenire?

Se da una part è inutile (e dannoso) colpevolizzare il bambino che bagna il letto, altrettanto sbagliato è “aspettare che il problema si risolva crescendo”. Se la percentuale di bambini che bagnano il letto è del 10-20% a 5 anni, a 10 anni avremo ancora un 5-10 % di soggetti che non hanno risolto il problema, e ancora circa il 3% di essi continuerà ad avere episodi di incontinenza urinaria notturna all’età di 15-20 anni.

 Con l’aumentare dell’età aumenta il disagio che tale situazione comporta, condizionando il bambino, e poi l’adolescente o il ragazzo, ad evitare occasioni sociali che comportano il dormire fuori casa.

Cosa fare quindi? Parlarne tranquillamente con il pediatra che saprà consigliare, previa visita accurata per escludere altre cause, le giuste regole di vita, eventuali esami e, se necessario, una terapia specifica.

Alimentazione

Consigli generici, ma a volte risolutivi, riguardano per prima cosa l’assunzione di liquidi durante il giorno. E’ importante che il bambino beva a sufficienza durante il giorno per ridurre la quantità di liquidi introdotti la sera. Si consiglia quindi di far portare al bambino una bottiglietta di acqua da 500 ml a scuola, 2 bottigliette se è in orario continuato.

Analogamente la sera è opportuno ridurre la quantità di acqua assunta, se possibile non far bere il bambino nelle ultime 2 ore prima di andare a letto, e far svuotare accuratamente la vescica prima del sonno.

Da evitare quindi cibi particolarmente salati la sera, così anche come latte e formaggi che contengono calcio (e quindi “richiamano acqua” a livello della vescica).

Stipsi

Altro aiuto nella risoluzione dl problema è curare una eventuale stipsi. L’accumulo di feci effettua una compressione sulla vescica stimolando il riflesso dello svuotamento e quindi la minzione notturna involontaria.

Diario minzionale

Spesso il pediatra consegnerà ai genitori un modulo sul quale trascrivere, per qualche giorno, orario e quantità dei liquidi assunti dal bambino, se durante il giorno dovessero capitare  episodi di incontinenza, ed infine orario e quantità delle urine emesse nella giornata. Questo al fine di identificare le caratteristiche con cui il problema si presenta nel singolo bambino, eventuali fattori favorenti e quindi il modo migliore per intervenire.

Gli esami

Generalmente non c’è bisogno di fare molti esami nelle forme familiari e ch non presentano campanelli di allarme che possano far sospettare una patologia sottostante. Sono sufficienti un esame delle urine ed una ecografia delle vie urinarie a vescica piena e dopo svuotamento. Altre indagini potranno essere suggerite sulla base di questi o in caso di insuccesso della terapia.

La terapia

Si basa sulla somministrazione serale, un’ora prima di andare a letto, di un ormone, detto ADH o vasopressina, che nei soggetti normali aumenta la sua produzione durante la notte, e che agisce riducendo il volume delle urine che si accumulano in vescica durante il sonno.

Si è visto infatti che i bambini che soffrono di enuresi notturna producono una quantità ridotta di questa sostanza, con la conseguenza che la loro vescica sarà molto più piena durante la notte.                                   

La terapia va poi modulata a seconda della risposta, scalandola al raggiungimento del risultato atteso o incrementando la dose se necessario.

Questa terapia ha rappresentato una vera rivoluzione nel trattamento dell’enuresi notturna, non solo per la sua efficacia, ma anche perchè ha tolto a questo disturbo la connotazione negativa che spesso accompagnava i bambini che ne soffrono, restituendo serenità a loro e alla loro famiglia.

cefalea bambino

Cefalea nel bambino: forme occasionali e ricorrenti

La cefalea è un sintomo molto frequente in età pediatrica e rappresenta una fonte  di disagio per il bambino affetto e per i suoi genitori. Questi a volte la considerano una vera situazione di allarme e ciò rende conto del fatto che circa l’un per cento degli accessi pediatrici in PS sia legato a tale sintomatologia.

Rara prima dei 3 anni di vita ( forse anche a causa della difficoltà del bambino piccolo di far comprendere la causa del proprio malessere), si riscontra nel 3-10% dei bambini in età scolare ed aumenta ulteriormente con l’età, raggiungendo il picco tra gli 11 e i 13 anni.

La cefalea  può verificarsi occasionalmente durante la vita di un bambino  o presentare un carattere di ricorrenza, come avviene soprattutto in alcune fasi della vita quali il passaggio scolastico o l’età peripuberale. Altre volte, invece, continuerà a presentarsi anche nella vita adulta e ciò è spesso associato ad una familiarità per tale patologia.

Gli elementi che più frequentemente portano i genitori a rivolgersi al pediatra sono la ricorrenza e l’intensità. Episodi frequenti interferiscono con le normali attività del bambino e rendono spesso necessaria la somministrazione ripetuta di farmaci, mentre una cefalea importante evoca il timore di trovarsi di fronte ad un evento rischioso per la sua stessa vita.

Nella valutazione del rischio e, in generale, per una corretta gestione, è bene ricordare che le cefalee si distinguono in primarie e secondarie.

Cefalee primarie

Vengono definite cefalee primarie quelle che non dipendono da altre patologie. Sono rappresentate dall’emicrania e dalle cefalee di tipo tensivo e rappresentano nell’insieme le più frequenti cause di cefalea in età pediatrica.

L’emicrania presenta una elevata familiarità (70 % dei casi) ed è caratterizzata da dolore pulsante, spesso bilaterale ( a differenza dell’adulto) in sede frontale o temporale ( alle tempie). Prima della pubertà colpisce più i maschi, successivamente le ragazze. Il dolore peggiora con l’attività fisica e migliora dopo sonno e può essere aggravato dalla luce, dal rumore o da profumi intensi. In una certa percentuale dei casi (14-30%) la cefalea può associarsi a disturbi neurologici transitori che possono comparire prima, durante o dopo la crisi dolorosa. Questa eventualità, definita “aura”, può generare molta preoccupazione nei genitori e nello stesso bambino, trattandosi di sintomi difficilmente spiegabili con quanto è avvenuto in passato. L’aura si può infatti manifestare con disturbi visivi quali “scintilliiluminosi o cecità parziale, oppure con alterazioni della sensibilità o disturbi del linguaggio. Tipica è la loro associazione temporale con la cefalea e la completa risoluzione successiva.

La cefalea tensiva si presenta invece come un dolore costrittivo diffuso, non localizzato e non  pulsante. A differenza dell’emicrania, inoltre, la cefalea non si accentua con l’esercizio fisico. Tipica è la dolorabilità dei muscoli attorno al cranio, soprattutto del collo.

Cefalee secondarie

Le cefalee secondarie possono riconoscere come causa  le infezioni del sistema nervoso centrale, come le meningiti, o, più frequentemente, infezioni localizzate in altre sedi (sinusite, influenza, ecc). Saranno la febbre e altri sintomi di accompagnamento che indirizzeranno la diagnosi.                                                                                                 

Altra possibile causa sono i traumi cranici, evenienza frequente e generalmente banale nel bambino. In questi casi l’allarme deve scattare in caso di sintomatologia ingravescente, soprattutto se accompagnata da vomito non occasionale, e dalla comparsa di altri sintomi neurologici quali sopore, convulsioni, disturbi della vista o della parola.                                                                                                                                             Anche problemi odontoiatrici come la malocclusione dentale o il bruxismo possono causare dolore riferito alla testa, così come i disturbi visivi.                                                                                                                                                                                                                                                          Molto raramente la  cefalea nel bambino può riconoscere una genesi vascolare (per malformazioni, emorragie, ischemie)  con esordio generalmente improvviso e drammatico in un soggetto che non aveva mai sofferto in precedenza di sintomatologia dolorosa riferibile alla testa, associato alla rapida comparsa di altri sintomi neurologici.                                                                                                                                             Infine, anch’essi fortunatamente rari, i tumori cerebrali possono essere causa di cefalea che appare più frequentemente unilaterale, ingravescente, spesso ad insorgenza mattutina ed associata a vomito cosiddetto “a getto” (cioè esplosivo, a distanza) anch’esso più frequente al risveglio.

Come gestire la cefalea

La valutazione di in bambino affetto da cefalea generalmente non necessita di esami ematici o strumentali ma solo di un accurato esame obiettivo (compresa la misurazione della pressione arteriosa), preceduto da una altrettanto scrupolosa anamnesi sia familiare che personale.

E’ importante indagare la sua eventuale associazione con stress, esercizio fisico, cibi particolari, così come l’eventuale comparsa di aura o di altri disturbi. Il bambino va ascoltato nella descrizione dell’episodio ed  il tutto sarà integrato da quanto osservato dai genitori.

Solo in caso di sospetto specifico si procederà con l’esecuzione di altri accertamenti ( visita oculistica con fondo dell’occhio, TAC/RMN, altro).

La terapia

La terapia della cefalea nel bambino si basa generalmente sull’uso occasionale di antidolorifici quali paracetamolo o FANS (soprattutto ibuprofene per la su a tollerabilità) cercando, nelle forme ricorrenti, di non superare i limiti di 15 somministrazioni/mese per il paracetamolo e di 10 somministrazioni/mese per i FANS.

A volte può risultare utile una integrazione con magnesio o vitamina B2.

Nei casi refrattari a tale approccio terapeutico è opportuno ricorrere ad ulteriori accertamenti e/o centri di secondo livello con esperienza nelle altre opzioni terapeutiche proposte per l’età pediatrica.

In ogni caso sarà sempre utile ed opportuna una adeguata igiene delle abitudini di vita e del sonno che possono risolvere il problema in molti casi, e, comunque, apportare un beneficio nella maggior parte.

bambini e sport

Lo sport in età pediatrica: quando, come, perché.

Una attività fisica regolare si è dimostrata, ad ogni età, capace di apportare numerosi benefici in termini di salute, riducendo il rischio di obesità, diabete, malattie cardiovascolari. Vi sono inoltre evidenze di un effetto positivo sulla crescita e lo sviluppo  del cervello e dei nervi favorendo l’apprendimento. Ma non solo. Lo sport insegna la socialità e il rispetto delle regole, aumenta la capacità di adattamento e favorisce comportamenti virtuosi : tutto ciò sarà tanto più evidente se praticato regolarmente dalla più tenera età.

Chiaramente l’attività sportiva deve essere piacevole per il bambino che dovrebbe essere libero di scegliere lo sport a lui più congeniale, e  cambiarlo, se necessario, senza pressioni esterne. Provare più di uno sport è anzi il modo migliore per sviluppare le sue capacità motorie in modo completo ed armonioso. La scelta del tipo di attività fisica cambia inoltre con l’età del bambino

Lo sport nel bambino da 0 a 3 anni

Sin alla nascita il bambino dovrebbe essere portato spesso all’aperto e lasciato libero di esplorare il mondo, dapprima come spettatore e poi, man mano che impara a camminare, partecipando a giochi semplici e istruttivi proposti dai genitori. Osservare e manipolare gli oggetti che incontra è il primo passo per stimolarne la curiosità e la voglia di fare nuove esperienze che, se correttamente guidate, lo aiuteranno ad acquisire sicurezza nelle proprie capacità.

Età prescolare (3-6 anni)

In questa fascia d età il tempo da dedicare al movimento dovrebbe essere di circa 3 ore al giorno, alternando attività libere ( correre, saltare, fare capriole, ecc.) con attività strutturate che abbiano poche direttive e istruzioni semplici. Lo sport di gruppo, effettuato a scopo ludico e non competitivo, aiuta il bambino a socializzare ed a rispettare le regole. Non esiste una attività sportiva migliore delle altre in modo assoluto, anche se è opportuno includere tra le varie acquisizioni motorie anche il nuoto in quanto tornerà sicuramente utile nelle epoche successive della vita riducendo il rischio di annegamento.

Età scolare

E’ opportuno dedicare almeno  60 minuti al giorno ad una attività fisica moderata alternata ad una attività più vigorosa per 3 volte a settimana. Anche qui la scelta sarà ampia, secondo desideri ed attitudini del bambino, che andrà incoraggiato a confrontarsi con più tipi di sport in modo da utilizzare la maggior parte dei gruppi muscolari e sviluppare la capacità di coordinazione. Una attenzione particolare deve essere posta ad evitare una specializzazione precoce nell’attività sportiva che, invece di aiutare lo sviluppo psicofisico del bambino nel suo insieme, lo espone al rischio di isolamento sociale e di dipendenza eccessiva nei confronti delle figure sportive di riferimento. Dai 9-10 anni il bambino è pronto per affrontare lo sport in modo competitivo, senza però essere caricato di aspettative eccessive da parte di genitori o istruttori

Adolescenza

E’ l’età del cambiamento e dell’adesione sociale tra coetanei. Appaiono nuovi stimoli ed una maggiore capacità decisionale che possono portare all’abbandono dello sport. Questo si verifica più frequentemente nei ragazzi che praticano sport individuali, mentre l’appartenenza ad una squadra rappresenta un’importante stimolo a continuarla nell’ottica di divertimento e condivisione.

Il ruolo della famiglia e del pediatra.

I genitori, con il loro stile di vita, rappresentano un importante modello di riferimento per tutta una serie di elementi correlati ad uno stato di salute ottimale: alimentazione, sport, igiene del sonno, evitamento di sostanze d’abuso come il fumo, eccetera. La promozione e/o la condivisione dell’attività fisica consente ai genitori di trascorrere più tempo assieme ai figli e, generalmente, ne favorisce il contatto emotivo.

Il pediatra, d’altro canto, è deputato non solo alla sorveglianza di eventuali incidenti di percorso, rappresentati di solito da traumi di scarsa/moderata entità, ma, partendo dalla conoscenza del bambino e della famiglia, può farsi promotore di un corretto percorso di avvicinamento allo sport e di mantenimento dello stesso nel tempo anche tenendo conto di eventuali patologie e relative  limitazioni.

Per concludere si ricorda che in base alla normativa entrata in vigore a febbraio 2018 non è necessario richiedere una certificazione medica per l’attività fisica dei bambini da 0 a 6 anni.

peluria nel bambino

La peluria nel bambino:varianti normali e patologiche

La peluria nel bambino è presente già al momento della nascita e si trasforma nel tempo in relazione all’età e ad altri fattori costituzionali e non.

La peluria nel neonato

Nel neonato la peluria appare particolarmente sottile e prende il nome di lanugine.  E’ molto sviluppata durante la vita fetale, tanto che tra il sesto e il settimo mese di gestazione il bambino ne appare in gran parte ricoperto.

Ma verso la fine dell’ottavo mese di gravidanza, a causa delle modificazioni ormonali che si verificano, la peluria tende a cadere: questo è il motivo per cui la lanugine è più evidente nel prematuro.

Nel neonato a termine questa peluria sottile è generalmente presente  sul dorso, sulle braccia e sulle orecchie, anche se esistono varianti individuali non patologiche in cui può essere particolarmente estesa e/o scura ( e quindi più evidente). Ciò è particolarmente frequente in soggetti appartenenti ad etnie con pelle molto pigmentata, ed anche in bambini con genitori a fenotipo scuro.

La peluria di transizione

La lanugine del neonato, così come gran parte dei  capelli presenti alla nascita, sono destinati a cadere nel corso delle successive prime settimane di vita a causa del  progressivo calo degli ormoni materni, e gradualmente compare una peluria di transizione caratterizzata da peli sottili, generalmente poco pigmentati, su gran parte della superficie corporea.

Modificazioni della peluria del bambino alla pubertà

Con l’approssimarsi della pubertà i peli che si trovano in aree sensibili all’azione ormonale si modificano, divenendo più spessi e maggiormente pigmentati: si tratta dei cosiddetti peli terminali.

 Questo processo avviene in parallelo con la comparsa dei caratteri sessuali secondari (aumento del seno, del pene, dei testicoli), ma non si tratta dello stesso fenomeno.

Il pubarca precoce

E’ infatti possibile osservare in alcuni bambini la comparsa di peluria di tipo terminale a carico del pube e/o delle ascelle senza modificazioni del seno o dei genitali. Questo fenomeno prende il nome di pubarca precoce e può precedere anche di molti anni la pubertà. Una stretta osservazione nel tempo, assieme alla valutazione di altri fattori quali la velocità di crescita, potranno indirizzare il pediatra verso un approccio attendistico o, al contrario, suggerire l’esecuzione di esami.

Differenza tra ipertricosi e irsutismo

La peluria nel bambino a volte può essere particolarmente diffusa e/o pigmentata in aree non soggette a stimolazione ormonale. Questo fenomeno è generalmente determinato da fattori costituzionali, spesso familiari, e prende il nome di ipertricosi.

L’ipertricosi va quindi differenziata dall’irsutismo che è invece causato dall’azione diretta degli androgeni sul pelo sottile in aree sensibili (pube, ascelle, ecc) che ne determina la trasformazione in pelo terminale.

L’ipertricosi si può riscontrare in alcune sindromi (generalmente rare e spesso associate a varie malformazioni), o può essere ricondotta all’azione di alcuni farmaci. Al di fuori di queste eventualità piuttosto infrequenti, di solito è sufficiente una semplice valutazione globale del bambino nel corso della visita pediatrica per escludere la necessità di un approfondimento diagnostico (esclusione, per esempio, di celiachia, ipotiroidismo, anoressia nervosa).

La terapia  dell’ipertricosi è puramente estetica e va riservata a quei casi in cui il fenomeno è particolarmente evidente e causa nel bambino disagio psicologico.

il pianto nel neonato

Il pianto nel neonato

Il pianto nel neonato è un fenomeno frequente rappresentando il meccanismo attraverso il quale il bambino comunica ai genitori le sue esigenze. Non rappresenta quindi necessariamente un segnale di allarme e non è sempre espressione di un grave disagio: semplicemente è il modo di far giungere al mondo esterno una richiesta di attenzione per essere nutrito ed accudito.

Dopo la dimissione dal nido però capita che i genitori si trovino disorientati in quanto ancora non si è instaurata quella conoscenza reciproca che permette a loro di interpretare correttamente la richiesta del bambino, e a lui di modulare i pochi strumenti di cui dispone per interagire con l’ambiente: pianto, ma anche sorriso, atteggiamento del corpo, primi vocalizzi.

Fino all’80-90% dei lattanti presenta nei primi mesi di vita crisi di pianto che possono durare a lungo ed a volte apparire inconsolabili. La prima cosa da tenere presente è che l’intensità del pianto non è necessariamente correlata alla “gravità” del malessere, potendo semplicemente rispecchiare il carattere del bambino, o essere condizionata dal tipo di risposta da parte dei genitori. Ovvero il neonato può imparare rapidamente che se piange forte è più rapidamente soddisfatto e quindi utilizzare questa “strategia” in ogni occasione.

Cosa non fare

Quindi  di fronte al pianto del neonato è importante evitare alcune risposte automatiche tra le quali elenchiamo le più frequenti.         

–   Prenderlo subito in braccio. La gratificazione immediata rafforzerebbe la successiva tendenza a sfruttare questo meccanismo per ogni esigenza, senza tenere conto che il neonato è capace di auto consolazione che si manifesta con la suzione non nutritiva (per esempio con il succhiotto) e con il pianto stesso. E’ quindi preferibile avvicinarsi al bambino parlandogli dolcemente per fargli percepire la propria presenza senza  che avvenga ogni volta un contatto fisico.          

–   Offrirgli subito del latte. Il pianto, come già detto, rappresenta un meccanismo comunicativo generico e non è sempre sinonimo di fame.  L’offerta automatica di cibo può comportare un eccesso di alimentazione, e, paradossalmente, scatenare altre crisi di pianto per l’insorgenza di coliche.      

Quindi, senza ricorrere ad eccessivi schematismi, di fronte al pianto del neonato è importante osservarlo un poprima di intervenire, cercando di cogliere eventuali altri segnali che possono aiutare nella sua interpretazione: per esempio le crisi dolorose spesso si associano ad inarcamento della schiena ed agitazione degli arti e non di rado cessano con l’emissione di aria.

Quando allarmarsi

Il pianto nel neonato è riferibile a cause patologiche in meno del  5% dei casi e generalmente questi si associano ad altri disturbi evidenti quali vomito, diarrea, febbre, rifiuto della alimentazione.

A volte, in caso di allattamento al seno, la causa del pianto può essere individuata in una scarsa assunzione di latte per ridotta produzione materna: questa purtroppo non sempre è evidente potendosi presentare anche quando il seno appare “teso”. Anche in questo caso avremo generalmente un segno clinico accessorio dato dalla scarsa crescita ponderale. 

In ogni caso, anche quando non sono presenti altri segni di allarme, ogni qualvolta il pianto del neonato dura più di 3 ore e non appare  consolabile con le usuali manovre è opportuno contattare il proprio pediatra per consigli mirati e/o visita, tenendo presente che l’età neonatale è particolarmente fragile per la tendenza ad una evoluzione rapida delle patologie.

Il ciclo mestruale: disturbi nell’adolescente

Il ciclo mestruale compare dopo circa 2 anni dall’inizio della pubertà, e inizialmente (primi 2-3 anni) si possono presentare irregolarità nella frequenza o nell’intensità del flusso. Si tratta di un fenomeno fisiologico, legato alla immaturità del complesso meccanismo ormonale che permette la fertilità: circa il 50%-80% delle ragazze nei primi 2 anni dal menarca non presenta infatti l’ovulazione e ciò causa gran parte delle irregolarità mestruali.

Oligomenorrea

Il disturbo mestruale che si presenta con maggiore frequenza è rappresentato da cicli più distanziati, la cosiddetta oligomenorrea, che si presenta in circa il 25% delle ragazze nel 1° anno mestruale e nel 20% durante il secondo anno. A questo riguardo dobbiamo però ricordare che l’intervallo che deve essere considerato normale tra due cicli non è rappresentato dai classici 28 giorni, esistendo una variabilità interpersonale sulla base della quale la norma è tra i 25 e i 35 giorni.

Sanguinamento uterino disfunzionale

Altro disturbo mestruale frequente è il sanguinamento uterino disfunzionale che si presenta prevalentemente nei primi 5 anni dal menarca ed è legato anch’esso alla presenza di cicli anovulatori. E’ caratterizzato da cicli particolarmente abbondanti e prolungati che a volte possono essere causa di anemizzazione e necessitare quindi di una integrazione farmacologica con composti a base di ferro.

Dismenorrea

Infine la dismenorrea, ovvero la comparsa di cicli mestruali dolorosi, si presenta tra il 40% e il 70% delle ragazze tra 12 e 17 anni ma, a differenza dalle precedenti, è più frequente dopo i primi 2-3 anni dal menarca, in quanto è associata alla comparsa di una ciclicità ovulatoria. Nel 15-20% delle pazienti affette può essere di entità tale da determinare assenteismo scolastico o lavorativo ed in questo caso può essere opportuna la somministrazione di FANS (anti infammatori non steroidei).

Ma, come anticipato, la maggior parte dei disturbi mestruali dell’adolescente è legata ad una semplice immaturità funzionale destinata a risolversi nel giro di 2-3 anni e pertanto, di solito, non è necessario nessun intervento diagnostico o terapeutico.

Disturbi mestruali patologici

Esistono però delle situazioni che impongono attenzione in quanto possono suggerire una causa patologica del fenomeno.

Bisogna per esempio escludere una patologia cronica sottostante, o, in caso di recente dimagramento, la concomitanza con l’anoressia nervosa ( che spesso si associa a riduzione dei cicli mestruali fino alla loro completa scomparsa). Anche lo stress prolungato o una attività fisica intensa (come accade in ragazze che praticano agonismo) possono determinare oligomenorrea.                                                                                                     

Un altro elemento da considerare è se l’irregolarità mestruale si presenta isolata o se invece si associa a sintomi di iperandrogenismo, come la comparsa di acne importante oppure di peli in sedi dove usualmente non sono presenti nella donna (faccia, torace, area attorno alle areole mammarie).                                    

Infine, in caso di sanguinamenti eccessivi deve essere esclusa la presenza di un disturbo della coagulazione che spesso esordisce nelle donne proprio con questa modalità senza che ci siano stati episodi emorragici precedenti suggestivi.

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La febbre nel bambino: consigli per una corretta gestione

La febbre nel bambino è una manifestazione molto frequente in quanto, con la crescita incontra un elevato numero di agenti infettivi (virus e batteri).

Quando è febbre e come si misura

Viene definita  febbre una temperatura al di sopra dei 37,5 gradi misurandola preferibilmente a livello ascellare con un termometro digitale lasciato a contatto per 2 minuti; in alternativa, qualora non si voglia svegliare il bambino, sono utili anche i termometri a raggi infrarossi con puntatore ottico a distanza. La misurazione in sede rettale potrebbe essere falsata in difetto dalla presenza di feci, o in eccesso in caso di infiammazione rettale per esempio  da diarrea. Sono invece generalmente sconsigliati per l’uso domestico i termometri auricolari che richiedono una corretta manualità e che possono rilevare una temperatura falsamente elevata in caso di otite.

Quando somministrare antipiretici

Si consiglia l’utilizzo di farmaci antipiretici per una temperatura superiore ai 38,5 gradi, ovvero per una temperatura che causa nel bambino malessere con interferenza nel sonno e nell’alimentazione.  La febbre di per sé, infatti, non è una malattia ma la reazione dell’organismo ad una infezione che determina la produzione di sostanze, dette citochine, utili per i processi immunitari. Impedire l’innalzamento della temperatura corporea con un uso eccessivo di antipiretici può quindi  ridurre la risposta immunitaria del bambino, come è stato dimostrato, per esempio in caso di vaccinazioni: l’uso preventivo di questi farmaci si associa infatti ad una ridotta produzione di anticorpi dopo vaccinazione. Analogamente appare inefficace la somministrazione preventiva di antipiretici per evitare le convulsioni febbrili.

Farmaci approvati per la febbre nel bambino

I farmaci antipiretici approvati per l’età pediatrica sono il paracetamolo, somministrabile dalla nascita, e l’ibuprofene, un FANS (anti infiammatorio non steroideo) che si può somministrare a partire dai 3 mesi di età o da un peso superiore a 5,6 kg. Sono sconsigliate altre molecole, in particolare l’aspirina che nel bambino può essere causa di una gravissima compromissione neurologica ed epatica detta sindrome di Reye. L’uso alternato dei due farmaci è generalmente sconsigliato in quanto si vengono a sommare gli effetti collaterali con possibile danno soprattutto a carico del rene.

Via di somministrazione

La via di somministrazione elettiva è quella orale a meno che il bambino non presenti vomito; l’uso di supposte, infatti, se permette di vincere la resistenza del bambino ad assumere farmaci per bocca, non ne assicura l’assorbimento,  in quanto nell’ampolla rettale possono essere presenti delle feci o il farmaco può essere evacuato prima che venga completamente assorbito rendendo poi difficile stabile quando ripetere la somministrazione e a quale dosaggio.

E’ infine sconsigliato l’utilizzo di mezzi fisici, quali spugnature o impacchi di acqua o alcool, che determinano una riduzione della temperatura corporea solo apparente: la cute appare più fresca ma l’interno dell’organismo può essere ancora più caldo di quanto fosse prima di applicare le spugnature come effetto della vasocostrizione cutanea.

Aiutiamoli a difendersi

Per concludere la febbre nel bambino non è di per sé una malattia ma una manifestazione dell’azione svolta dall’organismo per combattere le infezioni; come tale non va trattata ad ogni costo ma limitatamente alle temperature più elevate, per permettere al bambino la corretta attivazione delle proprie difese immunitarie.